Perchè penso di essere in un modo e invece non lo sono?
mercoledì, 28 marzo 2007In verità avevo già spento il portatile, questa sera: invece rieccolo qua, il mio blog, davanti ai miei occhi, forse in cerca di qualche ultimo pensiero ritardatario, della giornata. Sto scrivendo da una stanza in cui sono entrato un paio di volte, ma sto a mio agio, qua: è là fuori, che non sento di poter star bene. Una mia amica oggi mi ha detto, tramite sms, che non ci rendiamo conto a volte di quanto sia bella la vita. Purtroppo questo lo so benissimo, è proprio il motivo per cui non mi sento bene: ho una paura fottuta di perderla. Non che abbia paura di morire (beh, si, anche quella, ma non ci penso molto), la mia è paura di non viverla nel modo giusto. Ho sprecato anni della mia vita per starmene solo con me stesso, e non conosco il motivo.
Perchè penso di essere egoista e non lo sono? Perchè penso di essere uno stronzo e invece non lo sono? Perchè penso di essere un insensibile quando non lo sono? Perchè penso di non meritarmi ciò che desidero quando magari posso averlo?
Odio le domande, non tanto quelle che mi vengono poste, ma quelle che mi pongo da solo. Sono tante, troppe, ingestibili, forse assurde, nella maggior parte dei casi non possono esser seguite dall’eco di una risposta.
Ho freddo, forse ho sonno, stanotte vado a letto, soffro pure di “scrittura stitica”, per l’ennesima volta.
…
Ma resisto, mi sono acceso un’altra cicca, vorrei non averla accesa, ma ormai… Questa sera a cena parlavo con una mia coinquilina. Riassumo velocemente la situazione: antipasto, cicca; primo piatto, pasta al pesto; secondo piatto, cicca; terzo piatto, musica; frutta, sostituita da una cicca e due chiacchiere; dessert, se c’era non l’ho visto; il tutto accompagnato dall’ennesima bottiglia di vino stappata per l’occasione di S. Gontrano, Ss. Castore e Teodora (martiri), S. Venturino, S. Sisto III e b. Giovanna de Maillé. In poche parole: pasta, cicche e vino. Ma! c’è un ma! Focalizzerei l’attenzione su quelle “due chiacchiere” e su quella “musica” che girava nell’aria. Ad un certo punto della conversazione la mia amica mi rivela che le piace ascoltare una determinata canzone, anche se la fa piangere. Dice che quel pezzo le ricorda situazioni passate, e nonostante la tristezza, le fa sempre piacere ritornare con la mente a momenti della sua vita che sembravano dimenticati.
Io le ho risposto che il rapporto con la musica può essere molto personale: per esempio, io posso ascoltare la stessa canzone che ascoltano milioni e milioni di persone ma, se mi colpisce in modo particolare, la sento mia, come se il compositore l’avesse scritta soltanto per me. Tutte le persone, i luoghi, persino gli strumenti stessi, spariscono dalla scena e rimaniamo solo io e quella data successione di note, armoniosa, intrigante. Il potere della musica sta proprio nel catapultare la mente in situazioni che non stiamo più vivendo, o che vivremo, e lo fa in modo così innocente, improvviso, che lascia quasi stupefatti. La musica estrae tutte le emozioni che vorremmo provare e le sbatte in faccia alla nostra anima, in quel momento, mentre il pezzo gira. La musica non si preoccupa di sapere se siamo pronti a un viaggio: ci mette su un treno con i nostri pensieri in una valigia, un treno che non arriverà mai in ritardo per l’incontro con noi stessi.